«Più brutta non la si poteva trovare» sentenziò Ugo Ojetti parlando di Villa Giusti: «brutta, gialla, stinta e nuda». L’osservazione non veniva da un esteta qualsiasi. Ojetti non era solo il critico d’arte più noto del momento e un opinionista celebre e salace. Nel 1918 era anche il potentissimo responsabile della propaganda italiana, e quando parlava delle trattative dell’armistizio lo faceva con il piglio di chi era abituato ai segreti del Comando Supremo. La scelta di accogliere la delegazione di pace austriaca in questo edificio non particolarmente celebre non era dovuta certo a ragioni estetiche. Posta alle porte di Padova lungo la strada per i colli Euganei, più o meno equidistante tra la città, capitale della guerra dai giorni di Caporetto, e Abano, dove si era installato il Comando Supremo di Diaz, Villa Giusti era una sede isolata e tranquilla, facile da controllare e eccellente per alloggiarvi, più o meno in segreto, la delegazione di pace austriaca. Gli incaricati per le trattative austro-ungarici (il Comando supremo aveva rifiutato di ammettere ai colloqui anche inviati tedeschi, persistendo la con la Germania lo stato di guerra) vi vennero riuniti la sera del 31 ottobre. Il 1 novembre, i delegati iniziarono una serie di tesi ed estenuanti colloqui con una commissione italiana, capitanata da Pietro Badoglio, sottocapo di Stato Maggiore dell’esercito, e composta dal generale Scipione Scipioni, dai colonnelli Gazzera, Maravigna, Pariani e Marchetti e dal capitano di vascello Accinni. All’interno della Villa era stato predisposto un adeguato servizio per ospitare la delegazione austroungarica, che vi soggiornò fino al mattino del 4 novembre 1918. Era stato allestito anche un sistema radiotelegrafico di comunicazione col Comando Supremo di Baden presso Vienna, che avrebbe permesso la trasmissione di dispacci non cifrati, mentre il personale di servizio, dispiegato dal servizio informazioni italiano, era formato da interpreti travestiti e il maggiordomo era un ufficiale di cavalleria, perfetto conoscitore di tedesco, francese e inglese.
Le trattative per l’armistizio cominciarono mentre le avanguardie italiane avevano ormai iniziato l’ultima fase dell’offensiva che avrebbe portato all’occupazione di Trento e di Trieste il 3 novembre e durarono per tre giorni. Dopo aver tergiversato nel tentativo di salvare il salvabile, e dopo ulteriori consultazioni con i propri superiori a Trento (Badoglio aveva minacciato di far riprendere l’offensiva a oltranza), la delegazione guidata dal generale Viktor Weber si arrese all’evidenza di un Esercito Comune (e quindi di una Monarchia) che avevano cessato di esistere da giorni. In un ultimo tentativo di avallare la pace con una presa di posizione dei vertici imperiali, la commissione armistiziale si mise in contatto telegraficamente con l’imperatore, che aveva lasciato Vienna per rifugiarsi al castello di Schönbrunn temendo una rivoluzione popolare: Carlo I e i suoi consiglieri non ebbero nemmeno la forza di accettare o respingere l’ultimatum italiano, cercarono di prorogare la decisione invocando la necessità di convocare in seduta straordinaria il governo e il consiglio della corona, e infine lasciarono i delegati liberi di decidere. Il cessate il fuoco entrò in vigore solo alle ore 15 del 4 novembre 1918, un ritardo che ebbe come unico risultato quello di condannare alla prigionia centinaia di migliaia di ex soldati asburgici, allo sbando, senza ordini e senza più nemmeno una patria, sopravanzati e catturati dagli italiani prima di oltrepassare le Alpi. Quando la firma dell’armistizio fu confermata, un alpino issò una bandiera italiana su un albero della villa, perché si potesse scorgere da lontano, e il parroco della chiesa di Santa Maria in Mandria fece suonare le campane a distesa. Fu soprattutto un’illusione. L’uscita dalla guerra sarebbe stata in realtà tutt’altro che semplice, per molti versi impossibile, e l’Italia avrebbe conosciuto molte delusioni e una guerra civile prima che le armi venissero infine veramente deposte, per far posto ad una dittatura. Ma almeno per qualche tempo tutti si convinsero che la pace fosse arrivata.