Dopo Caporetto il Re e il Governo chiesero agli alleati l’invio di truppe sul fronte del Piave. Come noto le perplessità degli Alti Comandi erano diverse: innanzitutto per il valore strategico attribuito al fronte occidentale che pertanto non doveva essere sguarnito, e per i dubbi non solo sulla capacità di tenuta delle truppe italiane sul Piave, ma anche per il giudizio negativo sul Comando Supremo italiano. Solo dopo la sostituzione di Cadorna con Diaz gli Alti comandi alleati acconsentirono infatti all’invio di truppe sul fronte italiano. Anche in questo caso Padova si sarebbe configurata come la “Capitale al fronte”. Sia il Comando inglese, sia quello francese si stabilirono infatti in Città. Nel settecentesco Palazzo Papafava, nobile famiglia discendente dai Carraresi, i Signori di Padova nel XIV secolo, si sarebbe insediata la Missione francese.
Nel salone d’onore del Palazzo, Maria Meniconi Bracceschi, moglie di Francesco Papafava, morto nel 1913, aveva allestito il famoso “laboratorio Papafava” di cucito: decine di volontarie vi si alternavano per confezionare divise per i militari al fronte. Durante la Guerra vi tornò a abitare, lasciando la residenza toscana, anche la figlia Margherita che tenne un interessante epistolario con il marito, Lucangelo Bracci, ufficiale volontario di cavalleria. Entrambi, Margherita e Lucangelo, erano interventisti democratici, nel solco di una tradizione risorgimentale di cui era espressione Salvemini, loro amico.
Le lettere di Lucangelo ci introducono nelle mappe culturali di un giovane della nobiltà italiana intriso del mito futurista della Guerra. Lucangelo sognava “di sentire il cannone, le bombe di aeroplano, l’emozione della guerra”. Si sarebbe scontrato con l’ostilità dei contadini delle terre “irredente”: “porci di contadini – scriveva a Magherita – quasi tutti ostili o indifferentissimi, sparano a noi…. fucilati”. Il fratello di Margherita, Novello, esultava nel novembre del 1917 per la vittoria dell’esercito rivoluzionario russo: prima della rivoluzione bolscevica inneggiava al “magnifico Manifesto di Kerenskj”, salvo poi dare credito alla propaganda di guerra secondo cui gli operai in sciopero a Torino nel 1917 avrebbero avuto in tasca “oro tedesco” e volantini che auspicavano la rivoluzione con “Giolitti, capo della Repubblica italiana”.
Angelo Gatti, colonnello addetto al Comando supremo, racconta nel suo Diario che, nei giorni immediatamente successivi a Caporetto, la famiglia si apprestava a traslocare nei possedimenti in Toscana, allarmando i padovani che ben conoscevamo le aderenze dei Papafava con gli alti comandi. La tenuta sul Piave delle truppe italiana bloccò il trasloco, mentre nel Palazzo, su richiesta dei Papafava, si sarebbe insediato il Comando della Missione francese giunta in soccorso delle truppe italiane. Tra gli ospiti più illustri vi sarebbe stato il Generale Foch, che in seguito avrebbe assunto il Comando Supremo dell’esercito francese sul fronte occidentale.
Dopo la Guerra, Maria Papafava dei Carraresi avrebbe ottenuto la Croce di guerra al merito e la Reconnaissance française.